Combattere le mafie significa prima di tutto aggredire i patrimoni della criminalità organizzata, restituirli alla collettività e porli alla base della costruzione di nuove relazioni economiche sane e legali, che collocano il lavoro e la dignità delle persone al centro di un nuovo percorso di riscatto civile e sociale. In Italia l’economia sommersa, la pervasività della criminalità mafiosa, il malaffare e la corruzione hanno un costo pari a circa il 27 per cento del Pil.
I numeri del fenomeno sono impressionanti: le aziende confiscate in via definitiva sono oltre 1.700, per un valore stimato di 854 milioni di euro e più di 5 mila lavoratori coinvolti. Quelle sequestrate, secondo stime Inag (Istituto nazionale amministratori giudiziari), sono cinquemila per un valore stimato di due miliardi e mezzo di euro e più di 10 mila lavoratori coinvolti. Contando anche le aziende confiscate non in via definitiva, il fenomeno interessa circa 8 mila aziende, per un valore superiore ai 4 miliardi di euro, e quasi 20 mila lavoratori. Più di 11 mila, invece, gli immobili confiscati in via definitiva (valore 2,2 miliardi di euro); circa 23 mila quelli sequestrati (valore 4,6 miliardi di euro). Considerando gli immobili confiscati non in via definitiva, le stime totali parlano di oltre 40 mila immobili coinvolti per un valore superiore agli 8 miliardi di euro.
Il problema è come restituire i beni e le aziende sequestrate in condizioni di efficienza. Queste ultime, oltre ad essere l’emblema della lotta dello stato contro l’infiltrazione delle organizzazioni criminali nel nostro tessuto economico, rappresentano un’opportunità concreta di lavoro che non può essere sprecata per evitare il paradosso che attività economiche, simbolo del potere mafioso, una volta sequestrate dallo stato, non sono in grado di divenire modelli di legalità economica, garantendo sicurezza sociale ai lavoratori coinvolti. Il lavoro degli amministratori giudiziari su questo fronte è molto delicato e articolato. Parliamo di commercialisti e avvocati con competenze manageriali. L’efficienza delle aziende fino al passaggio nelle mani dell’Agenzia nazionale (Anbsc) è fortemente condizionata dalla rigidità del sistema bancario, dalla mancanza di trattamenti fiscali e previdenziali differenziati, dall’assenza di un mercato “interno” del sistema delle aziende sequestrate.
Appare auspicabile che il quadro di regole operative (amministrative, gestionali, fiscali e contributive) contenuto nel progetto di legge in esame alla Camera (C.1138) possa essere rapidamente varato. Occorrerebbe un coinvolgimento dei ministeri dello sviluppo economico e dell’economia e delle finanze, con strumenti di rilancio delle imprese sequestrate e confiscate, reinvestendo parte delle liquidità sequestrate e confiscate in un fondo ad hoc che possa garantire le linee di credito concesse dalle banche fino al giorno prima del provvedimento di prevenzione, sistematicamente interrotte con l’avvento della gestione da parte dell’amministratore giudiziario. Anche per gli immobili sequestrati e confiscati si potrebbe fare molto di più. Rivoluzionando l’attuale schema che vede al centro l’Agenzia nazionale e gli enti territoriali, introducendo una gestione professionale dell’intero patrimonio immobiliare attraverso una specifica entità pubblica (ambito Mef-Cdp) che garantirebbe rendimenti e utilizzi senz’altro migliori. Che senso ha assegnare un immobile a un ente locale o altro organismo che non è in grado di ristrutturarlo o di sostenerne le spese di gestione? Vendere non è una proposta immorale. Il dibattito è aperto. Roberto Saviano sostiene, addirittura, che i beni confiscati alle organizzazioni criminali vanno venduti subito per riportare allo Stato le risorse saccheggiate.
A contribuire alla discussione, il terzo congresso dell’Inag che si è svolto al comando generale della guardia di finanza alla presenza, tra gli altri, di Saverio Capolupo, comandante generale della guardia di finanza, Enrico Morando, vice ministro dell’economia e delle finanze, Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia.