La mostra “Sezioni-Intersezioni”, capolavori di vertigine
Bilbao, 19 ott. (askanews) – Nella grande sala al secondo piano i dipinti monumentali di Anselm Kiefer e una delle più celebri installazioni di Joseph Beuys danno la misura dell’intensità, artistica ed emotiva, della mostra: uno spazio sospeso sopra la storia e al tempo stesso profondamente calato in essa. Siamo al Museo Guggenheim Bilbao e questa è “Sezioni/Intersezioni”, l’esposizione che celebra i 25 anni di apertura con il display delle opere della collezione. “La collezione è piccola – ha detto ad askanews Lucía Agirre, curatrice al museo bilbaino – sono 145 opere in numero, ma se pensiamo all’importanza di molti dei lavori che possediamo si capisce che per la collezione si è fatta una scelta molto ponderata. Abbiamo cercato sul mercato le opere che volevamo, non quello che era lì per allestire una collezione di corsa perché avevamo un edificio e lo dovevamo riempire”. La storia del Guggenheim Bilbao è la storia del modo in cui un museo ha cambiato il volto di una città, trasformandola, con enormi investimenti e l’incredibile edificio di Frank Gehry, in una meta di turismo culturale globale. Ma guardare le opere della collezione, siano esse il mare di alluminio di 14 metri di El Anatsui oppure le centinaia di volti perduti di Christian Boltanski, i neon di denuncia di Jenny Holzer o i simboli che si sfaldano di Yoko Ono, è un’esperienza che assume una profondità diversa, che abbraccia una visione del mondo in grado di toccarci ben oltre il rassicurante perimetro dell’intrattenimento, seppur colto. “Ci sono delle opere e delle sale – ci ha detto la curatrice Maite Borjabad – che abbracciano l’idea che la realtà non sia raccontabile in un solo modo, che non possa essere esperita in un solo modo, per cui abbiamo bisogno di una molteplicità di voci, abbiamo bisogno di capire che la realtà è ambigua e dipende dalla prospettiva con cui la osserviamo e la narriamo. Dobbiamo abbracciare le contraddizioni e le ambiguità, piuttosto che tentare di risolverle. Qui molte opere accolgono l’ambiguità e le sue potenzialità”. E non c’è luogo migliore per cogliere questa vertigine di ambiguità della sala che ospita le fotografie di Thomas Struth che ritraggono persone che guardano un’opera d’arte. L’opera però non si vede, non c’è nello spazio museale, è in un altro territorio. Quello che vediamo e sentiamo noi è invece lo specchio del pubblico che guarda se stesso nell’atto di guardare un capolavoro dentro un museo. È la sublimazione del presente, mentre avviene; una finestra sull’atto stesso di visitare una mostra, nel momento in cui la si visita. “È una mostra – ha aggiunto Agirre – che alla fine parla della relazione che abbiamo con l’opera d’arte e ognuno vive questo rapporto in modo diverso”. Ci sono le sculture di Juan Munoz e di Cristina Iglesias, due straordinarie tele di Yves Klein e Mark Rothko, ci sono Gilbert & George e ovviamente i monumenti d’acciaio di Richard Serra. C’è un Richard Long meraviglioso e una marina di Gerhard Richter. Ma forse l’opera che meglio sintetizza l’esperienza della mostra è racchiusa in una scatola, pur essendo comunque sconfinata. La “Stanza degli specchi infiniti” di Yayooi Kusama è, come recita il sottotitolo, “un augurio di felicità per l’umanità lanciato da oltre l’universo”. Siamo arrivati. Questo è il luogo di confine in cui la mostra ci ha condotti e ci lascia, liberi di decidere il passo successivo, tra lo stupore, la vertigine, le possibilità e l’arte, tutta intorno a noi. (Leonardo Merlini) continua a leggere sul sito di riferimento