“Dove c’è troppo io, c’è poco Dio”
Città del Vaticano, 23 ott. (askanews) – “Vigiliamo sul narcisismo e sull’esibizionismo, fondati sulla vanagloria, che portano anche noi cristiani, noi preti, noi vescovi ad avere sempre una parola sulle labbra: ‘io’. ‘io’, ‘io’ sulle labbra: ‘io ho fatto questo, io ho scritto quest’altro, io l’avevo detto, io l’avevo capito’, e così via. Dove c’è troppo io, c’è poco Dio”. Untteggiamento, ha poi detto il Papa parlando a braccio che porta “all’autoincensamento” e al “ridicolo”. Lo ha detto papa Francesco nel corso dell’Angelus domenicale in piazza San Pietro. Francesco ha commentato il brano evangelico proposto nella liturgia domenicale a tutti i fedeli: quello del fariseo e del pubblicano che si presentano al Tempio con due atteggiamenti opposti. Il primo di superbia sentendosi giusto e non come gli altri peccatori e quello del pubblicano che, invece, chiede a Dio perdono per i suoi peccati. “Il fariseo e il pubblicano ci riguardano da vicino. Pensando a loro, guardiamo a noi stessi: verifichiamo se in noi, come nel fariseo, c’è – ha detto il papa rivolgendosi ai tanti fedeli riuniti nella piazza per ascoltarlo – ‘l’intima presunzione di essere giusti’ che ci porta a disprezzare gli altri. Succede, ad esempio, quando ricerchiamo i complimenti e facciamo sempre l’elenco dei nostri meriti e delle nostre buone opere, quando ci preoccupiamo dell’apparire anziché dell’essere, quando ci lasciamo intrappolare dal narcisismo e dall’esibizionismo”. Francesco, seguendo il brano evangelico, ha invitato l’uomo di fede a “salire”, che, ha spiegato, “esprime il bisogno del cuore di staccarsi da una vita piatta per andare incontro al Signore; di elevarsi dalle pianure del nostro io per salire verso Dio; di raccogliere quanto viviamo a valle per portarlo al cospetto del Signore”. “Ma per vivere l’incontro con Lui ed essere trasformati dalla preghiera, per elevarci a Dio, c’è bisogno del secondo movimento: scendere. – ha aggiunto – Per salire verso di Lui dobbiamo scendere dentro di noi: coltivare la sincerità e l’umiltà del cuore, che ci donano uno sguardo onesto sulle nostre fragilità e povertà. Nell’umiltà, infatti, diventiamo capaci di portare a Dio, senza finzioni, ciò che siamo, i limiti e le ferite, i peccati e le miserie che ci appesantiscono il cuore, e di invocare – ha concluso – la sua misericordia perché ci risani, ci guarisca e ci rialzi. Più noi scendiamo con umiltà, più Dio ci fa salire in alto”. continua a leggere sul sito di riferimento