Nella regione oltre 100 presidi e 17 centri clinici presa in carico positivi epatite C
Roma, 15 nov. (askanews) – “Il Lazio può essere motore anche a livello europeo per la prevenzione e contrasto alle malattie infettive”. Lo ha detto Alessio D’Amato, Assessore alla Sanità della Regione Lazio, intervenendo al convegno “Le malattie infettive e l’impatto sulla comunità: avvio della Campagna di Screening dell’HCV nella Regione Lazio”, organizzato presso la sede della Regione, nell’ambito del ciclo di incontri “Sanità modello Lazio”.
“Abbiamo avviato un meccanismo virtuoso che prevede un numero ampio di centri prelievo e di strutture cliniche in grado di prendere in carico i pazienti”, ha spiegato l’assessore D’Amato. “I dati ci dicono che la percentuale del 95% di guarigioni rispetto alla prevenzione rappresentano un risultato importantissimo. L’obiettivo è aumentare, con una campagna di comunicazione sempre più estesa, la possibilità di coinvolgere per gli screening dell’HCV i nati dal 1969 al 1989. Il Lazio prorogherà l’attuale campagna che è fondamentale per la sanità pubblica”.
A spiegare i dettagli della campagna regionale per il monitoraggio dell’epatite C è stata Alessandra Barca, Dirigente Area Prevenzione Regione Lazio: “Abbiamo messo in campo una rete molto capillare di punti di prelievo, con 17 centri clinici per la presa in carico dei soggetti positivi e oltre 100 presidi autorizzati al trattamento con DAA. Occorre portare avanti una grande campagna di comunicazione per sviluppare e ampliare questi interventi di sanità pubblica per raggiungere gli obiettivi prefissi”.
Per Paola Scognamiglio, Coordinatrice Gruppo di lavoro Screening HCV Regione Lazio, “l’obiettivo dell’Oms è ridurre del 90% l’incidenza, per diminuire del 65% i decessi correlati. Questo si può fare con un impegno organizzativo importante e lo stiamo facendo anche provando ad inserire questi screening in altri percorsi di controllo in modo da allargare la platea dei soggetti coinvolti”.
Gianpiero D’Offizi (Responsabile della UOC Malattie Infettive Epatologia nell’ambito del dipartimento Polo Ospedaliero Interaziendale Trapianti – L. Spallanzani), ha sottolineato come “i pazienti tossicodipendenti debbano rappresentare una priorità del trattamento di prevenzione. Tutti i dati ci dicono che l’efficacia dei trattamenti su questa tipologia di pazienti è la stessa degli altri. Agire sui tossicodipendenti riduce la circolazione e la trasmissione delle malattie infettive”.
A sottolineare l’importanza delle campagne di comunicazione Giulio Notturni, responsabile della comunicazione e delle relazioni esterne dell’assessorato alla sanità, insieme alle associazioni intervenute all’incontro. Per Massimiliano Conforti, vicepresidente di EpaC Onlus, “la sfida è la comunicazione rivolta ai target individuati per sdoganare le malattie infettive, perchè la gente ha paura di essere giudicata ma va fatto capire che si può guarire e che questo comporta anche un valore aggiunto in termini di risparmio per la sanità pubblica”.
I dati. L’Assemblea generale dell’ONU (Nazioni Unite) nel 2020 ha definito i dieci anni che ci portano al 2030 come un “decennio di azione”, nel quale occorrerà introdurre soluzioni rapide e sostenibili per affrontare tutte le maggiori sfide del mondo: povertà, cambiamento climatico, disuguaglianza e riduzione del divario finanziario. Il 2030, infatti, sarà un anno-traguardo per molti target di salute fissati dai Sustainable Development Goals dell’ONU. A tal proposito l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), grazie all’apporto di numerosi esperti, ha pubblicando un elenco di sfide globali per la salute individuando 13 punti sui quali focalizzarsi, uno dei quali è arrestare la diffusione delle malattie infettive. Si inserisce ottimamente in questa sfida globale il Piano Nazionale Epatiti Virali (PNEC) che da anni è un valido strumento programmatico per affrontare efficacemente i temi della prevenzione e cura delle epatiti virali in Italia.
Le epatiti B e C rappresentano un rilevante problema di Sanità Pubblica, oltre che per la frequenza, per l’alta percentuale di casi clinicamente non manifesti che rappresentano una importante fonte di contagio; per l’elevata percentuale di cronicizzazione dell’infezione, che può portare ad un danno epatico più severo, quale la cirrosi ed il carcinoma epatocellulare; per l’elevato numero di morti ad esse correlabili; per il rilevante impatto sociale dell’infezione a causa degli innegabili danni psicologici ed alla vita di relazione, cui molti pazienti vanno incontro e, non da ultimo, per il significativo peso economico della malattia. I costi, sia diretti, relativi al trattamento della malattia, che indiretti, legati alla perdita di produttività ed alla morte prematura dei soggetti infetti, aumentano esponenzialmente in relazione al progressivo aggravamento della stessa.
Inoltre, resta aperta la sfida all’infezione da virus dell’epatite delta (HDV), scarsamente ricercata e diagnosticata, sostenuta da virus a RNA difettivo che, come involucro esterno, utilizza l’antigene di superficie del virus HBV. Per questo motivo, i soggetti HDV positivi sono anche HBV positivi; i pazienti con HDV hanno quindi una doppia infezione.
Dal punto di vista clinico è la forma più aggressiva e pericolosa tra tutte le epatiti croniche virali. Infatti, la maggior parte di pazienti sviluppa rapidamente una malattia avanzata di fegato, cirrosi e tumore. Il PNEV delinea obiettivi precisi che abbracciano il problema epatite virale dalla prevenzione al trattamento ponendo un forte accento sulla sensibilizzazione, l’informazione e la formazione sia dei pazienti che di tutti gli stakeholders coinvolti nella gestione della patologia e del suo riflesso sociale. Alla luce di quanto descritto, programmi di screening, di sensibilizzazione e di cooperazione sanitaria internazionale possono svolgere un ruolo fondamentale per il raggiungimento dell’obiettivo di contrasto alla diffusione delle malattie infettive.