Presidente a askanews: in cantina bottiglie senza tempo, non di moda

Milano, 12 dic. (askanews) – Tra i pochi esercizi commerciali che in Italia sono potuti rimanere aperti durante il lockdown, le enoteche tradizionali con asporto in questi ultimi tre anni hanno implementato la consegna a domicilio, il processo di digitalizzazione, la comunicazione social e l’e-commerce. Questo ha permesso loro di riuscire a superare agevolmente il 2020 e a chiudere il 2021 con una crescita di oltre il 20%, a riprova di un settore in buona salute, non turbato nemmeno dal fiorire di piattaforme on-line di vendita di vino. Situazione più complessa per le enoteche con mescita (che secondo le stime dovrebbero essere circa tre volte quelle classiche), che hanno invece pesantemente risentito della chiusura forzata, fino al progressivo ritorno alla normalità e ad un “liberatorio” rilancio dei consumi registrato la scorsa Primavera e al vero e proprio boom avuto nella lunga estate e durante il soleggiato autunno di quest’anno. Per fare il punto sul lavoro e le caratteristiche delle enoteche, askanews ha parlato con Francesco Bonfio, presidente dell’Associazione degli enotecari professionisti italiani (Aepi).

“Il 2022 nel complesso è andato bene, soprattutto per gli enotecari che lavorano nelle zone battute dal turismo che quest’anno ha avuto un exploit incredibile, soprattutto nelle città d’arte. Le enoteche con mescita hanno avuto degli ottimi fatturati mentre per quelle tradizionali il 40-50% dell’incasso annuale si fa adesso, tra novembre e dicembre, che se vanno bene portano ad una crescita enorme” spiega Bonfio, 65enne titolare di un’importante enoteca a Siena.

Negli ultimi cinquant’anni le enoteche si sono inevitabilmente trasformate insieme con la società e le abitudini degli italiani, anche se “per quanto riguarda l’enoteca classica, quella da asporto, rimane ancora molto forte il fattore ereditario, allargato anche al dipendente che rileva l’attività o si mette in proprio”. “E’ una situazione piuttosto statica e consolidata, a differenza di quanto avviene nelle enoteca mescita, dove ad aprire ci sono molti giovani, appassionati e competenti anche se spesso completamente a digiuno dei concetti economici e commerciali” continua Bonfio, sottolineando che però “hanno ricarichi importanti, molto più simili a quelli della ristorazione che a quelli dell’enoteca classica, e questo permette loro, almeno in parte, di far fronte a eventuali errori”. “E’ un fenomeno esploso negli ultimi vent’anni, perché negli anni Settanta le enoteche con mescita esistevano solo nel Triveneto: noi avevamo una tradizione secolare di vendita di vino al bicchiere, spessissimo con i cicchetti” ricorda Bonfio che è di origine padovana, evidenziando che “ad esempio in Toscana quel tipo di concetto non esisteva, era il consumatore che non contemplava l’idea di andarci. Poi, con gli anni Duemila è cambiato tutto”.

Negli ultimi anni è mutata anche la figura dell’enotecario classico. “Oggi i clienti più affezionati e appassionati ci chiedono anche corsi di avvicinamento al vino” spiega il presidente dell’Aepi, aggiungendo “così l’enotecario aggiunge alla sua attività di rivenditore di vino di qualità, anche quella di divulgatore ma capita anche che venga interpellato per fare delle consulenze di vario tipo, come ad esempio la perizia delle bottiglie ereditate”. “Ma non solo, i ristoranti hanno purtroppo iniziato a rinunciare alla figura del sommelier perché troppo onerosa – prosegue Bonfio – e così succede che chiedano a noi di creargli una ‘carta’, di fare formazione ai loro camerieri, e di rifornire di vino il locale in una maniera molto più elastica di quello che può essere l’approvigionamento dalle aziende, perché l’enoteca può vendere anche solo due bottiglie”. “Il ristoratore ha così il grande vantaggio di non dover investire fondi ingenti per crearsi una cantina perché ce l’ha a disposizione” aggiunge Bonfio, precisando “certamente paga il vino un po’ di più ma con i ricarichi che fanno i ristoranti alla fine è una percentuale di cui non ci si accorge”.

L’enoteca rimane il principale canale di vendita di vini nella fascia di prezzo sopra i 30 euro, facendo meglio del canale Horeca. Se i ristoranti hanno un ricarico medio a bottiglia che va dalle due alle quattro volte, quello dell’asporto praticato dagli enotecari si aggira in media tra il 30% e il 50%.

Un altro cambiamento riguarda gli investimenti necessari per questa categoria di negozi. “Oggi l’investimento per la cantina è sensibilmente più oneroso di 10-15 anni fa, non tanto per l’aumento del prezzo ma perché ci sono molti più prodotti ed è quindi necessario allargare la gamma” spiega Bonfio, ricordando che “negli anni Ottanta a Montalcino c’erano 25 produttori mentre oggi sono più di 350 quelli che imbottigliano”. “Per gli approvvigionamenti noi continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto: ci sono vini che non hanno età né tempo, e a secondo della tua disponibilità economica fai un investimento più o meno grande, comperi a prescindere dal fatto che tu riesca a vendere tutto l’anno successivo” prosegue l’enotecario, sottolineando che “siamo invece molto più prudenti sui vini di moda, quelli che durano 12-18 mesi e che la gente viene a chiederti e poi dopo un’anno se ne sono già dimenticati”.

Tra i vini di moda, Bonfio è tentato di inserire anche quelli “naturali”. “E’ un argomento molto complicato, a partire dal termine naturale di cui ognuno dà una sua versione e la confusone è tale che ognuna è giusta o sbagliata per motivi diversi”. “Nei primi anni Novanta, al traino dei supertuscan c’era la barrique e c’erano clienti che entravano e chiedevano ‘vorrei un vino fatto in barrique'” ricorda, spiegando che “allora noi, con pazienza e umiltà, gli spiegavamo che non è la barrique che fa il vino buono o cattivo ma l’utilizzo che se ne fa”. “Il naturale va bene, se si intende un vino fatto in maniera rispettosa dell’ambiente, del palato e del corpo di chi lo berrà, e nei confronti della società” continua Bonfio, sottolineando “non trovo però sia molto rispettoso né per il consumatore né per il pianeta quel produttore che si vanta di fare vino naturale e su dieci bottiglie, sette sono da buttare nel lavandino”.

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